Ogni geografo, in particolare quelli impegnati in campo accademico/didattico, avrebbero il dovere di viaggiare il più possibile, per conoscere, vedere la diversità con i propri occhi, elaborare un pensiero da comunicare in aula.
Quest’anno, complice uno yen debole – sono riuscito a colmare una mia grave lacuna: il primo viaggio in Estremo Oriente (dal Singapore di oltre 20 anni fa) alla scoperta – per quanto sia possibile farlo in una vacanza estiva – del Giappone.
“E’ stato un viaggio nel futuro”, il mio incipit del racconto agli amici: reti ferroviarie e metropolitane estesissime e super efficienti, pulizia e sicurezza da far invidia alla Svizzera, bagni pubblici onnipresenti e pulitissimi, agili vecchiette che si inchinano per ringraziarti di aver lasciato loro il posto sul bus. Il mondo perfetto, dove tutti vorremo vivere? No, ma solo perché la perfezione non è di questo mondo, non appartiene agli esseri umani e quindi neanche alle loro complesse comunità; e oltretutto è noiosa, e il Giappone è tutt’altro che noioso. Il Paese del Sol levante è un luogo magnifico e pieno di contraddizioni, con tanta gente e un alto tasso di solitudine e pressione sociale dalle note e tristi conseguenze, la meno grave delle quali è il boom dei Lovot (love + robot), i robottini di compagnia acquistati a caro prezzo da persone troppo impegnate per potersi prendere cura di un vero animale domestico (vedi foto).

Ma allora cosa è che può insegnare il Giappone al mondo, al mio Paese e al mio Sud? Me lo sono chiesto e continuo a chiedermelo. E nel farlo rifletto su una nazione che nel 1854, alla fine di oltre due secoli di isolamento pressoché totale, vede per la prima volta un modellino di treno e che, nel 1872, ha già costruito la prima linea ferroviaria (di 29 chilometri). Parliamo di un popolo che, ferito a morte dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale (tra cui le due bombe atomiche nell’agosto 1945), e sottoposto al controllo di una potenza esterna fino al 1951, diventa una superpotenza economica mondiale già agli inizi degli anni ’70. Quindi cosa abbiamo da imparare dal Giappone? Il Giappone… ci prova! Prova, con tutta la fierezza di un popolo, ad essere civile, rispettoso, innovativo, cordiale, costruttivo. E riesce a farlo senza controllare in maniera asfissiante i suoi cittadini (come avviene a Singapore) o senza mettere in piedi dubbie politiche di Social Credit System (come la Cina), lasciando invece che l’individuo aderisca a questo progetto sociale, libero nella sua espressione politica, economica, creativa. Quanto ai “problemi” di comunicazione interpersonale: sulla spiagge intorno a Osaka e Tokyo, come il alcuni luoghi “alternativi” abbiamo visto incoraggianti segni di vita spensierata e libera da schemi (e schermi). C’è speranza, quindi, che il Giappone trovi la cura alle sue ipocondrie. Al momento, ahimè, non nutro la stessa positività sul nostro (non pervenuto) progetto di civiltà.
(foto © aboutgeography.it : bagni pubblici a Tokyo; due ragazze vestono il kimono tradizionale in visita a un tempio a Kyoto, non rinunciando all’ultima versione del dolce “mochi”; l’ultima versione di Lovot; tempio di Sensoji e Tokyo sky tree).