La maledizione delle risorse. E’ questa l’espressione, laconica e feroce, utilizzata da oltre 30 anni per indicare il paradosso di quei Paesi che, proprio perchè possiedono immense risorse naturali, sono tenuti sotto scacco da un mix letale di guerra civile, corruzione, malgoverno, ingerenza indebita di paesi stranieri, vicini o lontani. La Repubblica Democratica del Congo, con le sue immense riserve di coltan e cobalto e con la guerra che imperversa nell’Est del Paese da 25 anni, rappresenta senza dubbio il caso più emblematico. Da tre anni circa, il gruppo ribelle spalleggiato dal vicino-eterno nemico lillipuziano Rwanda ha intensificato la sua azione, e da poche ore, si è impossessata di Goma, il capoluogo della provincia del Nord Kivu. Nella capitale Kinshasa, la gente ha assediato e assaltato le Ambasciate straniere, accusandole di appoggiare l’instabilità nell’Est del Paese.

(Eppure il Congo è una terra bellissima e dolce: Nord Kivu, Orfanotrofio e centro di comunità Gazelles de Silvana, 2022; foto di A. Corbino).
Questa tragedia umanitaria, la più grande di questo secolo, oltre a porre una riflessione sull’atavica tragicommedia dello sviluppo mancato e sulla più recente relazione pericolosa tra transizione energetica nel Nord del mondo e sfruttamento delle risorse del Sud del mondo, ne pone anche una sul ruolo delle Nazioni Unite e dei Caschi Blu in particolare, che qui hanno la più grande e costosa delle loro imbelli missioni di pace. A questo proposito, su “La Stampa” di oggi il giornalista Domenico Quirico scrive “.. .donne violentate, figli portati via. Li osservano con noncuranza, indolenti, i Caschi blu del contingente che è lì da decenni, un monumento all’impotenza che fa urlare di rabbia”.
Io credo fermamente che noi geografi, noi che più di ogni altro ci vantiamo di saper unire gli infiniti puntini di ciò che accade in questo grande piccolo globo, dovremmo sforzarci, fino allo stremo delle forze, di dare il nostro contributo a queste riflessioni. Basta violenza, basta guerre, basta ingiustizia.