Riflessioni geografiche n. 16: i geografi ringraziano mr. Trump!

In attesa di conoscere con più esattezza se e quanto i super ricchi statunitensi avranno guadagnato dalle politiche del nuovo POTUS, vi sono già due categorie professionali che dovrebbero esprimere tutta la loro gratitudine a Donald Trump. I primi sono gli autori di satira politica, che già dalla fase elettorale si stanno scatenando sul The Daily Show et similia.
L’altra categoria, ça va sans dire, sono i geografi di tutti il mondo, che, dalla raffica di ordini esecutivi firmati sin dal primo giorno e dalle dichiarazioni a briglia sciolta di Mr. Trump e del suo staff, potranno trarre spunto per migliaia di articoli e convegni scientifici. In ordine sparso:
– il ritiro degli USA dall’Accordo di Parigi sul clima, costringerà tutti coloro che si occupano di geografia fisica, di politiche ambientali e sostenibilità a rivedere tutti i loro studi e previsioni; chi si occupa di rifiuti e inquinamento potrà anche lavorare sul caso più specifico delle cannucce di plastica e del famoso “drill baby drill!”, tema carissimo – anche se fuori moda – a chi fa geografia economica;
– l’aver rinominato unilateralmente il Gulf of Mexico “Gulf of America” (beh, effettivamente l’America è un continente… se solo gli USA si ricordassero di essere solo gli USA e non l’America, le tessere andrebbero a posto da sole) darà lavoro a chi si occupa di cartografia, storia della geografia, di identità e di toponomastica;

– l’idea di prendere Gaza e di trasformarla in un beautiful place (com’era prima, forse?), deportando i palestinesi, farà scorrere fiumi di inchiostro tra chi si occupa di geografia urbana, diritti umani, geopolitica, identità, pace;
– le dichiarazioni su Panama, sulla Groenlandia, e ovviamente la recente ipotesi di accordo con la Russia sulla Ucraina, farà sgolare i geografi che si occupano di geopolitica, ecc.;
– i dazi al Canada, alla Cina e agli altri paesi, faranno impazzire di gioia chi si occupa di geografia economica;
– il blocco dei finanziamenti a molti programmi governativi, compresi quelli di USAID, nonché l’uscita dalla WHO, faranno lavorare molto chi si occupa di geografia sociale, sviluppo, cooperazione, salute;
– la chiusura (negazione?) del mondo arcobaleno farà scrivere molto chi si occupa di geografia di genere e diritti umani;
– la creazione del DOGE, l’ingerenza di potenti privati nella gestione della cosa pubblica, i conflitti tra Stati e governo federale, daranno molto da pensare a chi si occupa di riordino territoriale.
E così via. Ogni giorno, la nuova amministrazione degli Stati Uniti ci fornirà temi su cui riflettere, discutere, litigare, scrivere, riunirci, tanto da non riuscire a starci dietro!
So: Thank you, Mr. Trump! Love love love, i geografi (prima un po’ annoiati) di tutto il mondo!

Riflessioni geografiche n.15

La maledizione delle risorse. E’ questa l’espressione, laconica e feroce, utilizzata da oltre 30 anni per indicare il paradosso di quei Paesi che, proprio perchè possiedono immense risorse naturali, sono tenuti sotto scacco da un mix letale di guerra civile, corruzione, malgoverno, ingerenza indebita di paesi stranieri, vicini o lontani. La Repubblica Democratica del Congo, con le sue immense riserve di coltan e cobalto e con la guerra che imperversa nell’Est del Paese da 25 anni, rappresenta senza dubbio il caso più emblematico. Da tre anni circa, il gruppo ribelle spalleggiato dal vicino-eterno nemico lillipuziano Rwanda ha intensificato la sua azione, e da poche ore, si è impossessata di Goma, il capoluogo della provincia del Nord Kivu. Nella capitale Kinshasa, la gente ha assediato e assaltato le Ambasciate straniere, accusandole di appoggiare l’instabilità nell’Est del Paese.

(Eppure il Congo è una terra bellissima e dolce: Nord Kivu, Orfanotrofio e centro di comunità Gazelles de Silvana, 2022; foto di A. Corbino).

Questa tragedia umanitaria, la più grande di questo secolo, oltre a porre una riflessione sull’atavica tragicommedia dello sviluppo mancato e sulla più recente relazione pericolosa tra transizione energetica nel Nord del mondo e sfruttamento delle risorse del Sud del mondo, ne pone anche una sul ruolo delle Nazioni Unite e dei Caschi Blu in particolare, che qui hanno la più grande e costosa delle loro imbelli missioni di pace. A questo proposito, su “La Stampa” di oggi il giornalista Domenico Quirico scrive “.. .donne violentate, figli portati via. Li osservano con noncuranza, indolenti, i Caschi blu del contingente che è lì da decenni, un monumento all’impotenza che fa urlare di rabbia”.
Io credo fermamente che noi geografi, noi che più di ogni altro ci vantiamo di saper unire gli infiniti puntini di ciò che accade in questo grande piccolo globo, dovremmo sforzarci, fino allo stremo delle forze, di dare il nostro contributo a queste riflessioni. Basta violenza, basta guerre, basta ingiustizia.

Oltre la geografia: un libro obbligatorio per la scuola italiana

Gira voce che il Ministro della Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, abbia rilasciato alcune dichiarazioni circa la riforma della scuola, suggerendo anche qualcosa tipo “più Bibbia per tutti”, cosa che condivido pienamente: dopo Cuore e I Promessi Sposi, la scuola italiana ha assolutamente bisogno di un libro sacro! Solo che, siccome il titolo da lui suggerito pare essere lievemente divisivo in una società dotatasi di una Costituzione laica (artt. 7 e 8), egualitaria (art. 3) e che incoraggia la cultura e la ricerca scientifica (art. 9), io vorrei suggerirne un altro, da rendere obbligatorio, dalla prima all’ultima pagina, il primo anno delle scuola secondaria di primo grado, e da ristudiare il primo anno del secondo grado. Questo libro è: “Storia del mare” di Alessandro Vanoli, 547 pagine (appendice esclusa) di scienza a 360 gradi, scritte in maniera semplice e assolutamente coinvolgente.


La Storia del Mare è una sorta di mini-enciclopedia della storia del viaggio e dell’evoluzione dell’umanità sulla Terra attraverso il suo rapporto col mare, ed è quindi anche un libro di geografia, perché è soprattutto attraverso il mare che l’uomo ha conosciuto e descritto il mondo. Ma è anche uno scrigno di gemme di geologia, di biologia, di antropologia, di scienze nautiche, di strategia militare, di economia marittima e commerciale, di geopolitica, di ecologia, di spiritualità, di arte, pagine magiche dove ci incontri proprio tutti: dai vichinghi alle balene, dai trafficanti di schiavi, ai pescatori di perle, agli ingegneri del Canale di Suez.
Ed è proprio per questo sguardo completo sul mondo di ieri e di oggi, attraverso il mare, che consiglio vivamente il sig. Ministro di renderne obbligatoria la lettura e rilettura per i nostri ragazzi: perché, leggendolo, essi potrebbero rischiare di appassionarsi alla conoscenza, al viaggio, alla scoperta dell’altrove e dell’altro; potrebbero trovare ispirazione per voler davvero studiare e per trovare quella curiosità per la vita reale che oggi sembra essere sempre più sostituita e assorbita dal mortifero mondo virtuale di playstation e social.
Sig. Ministro, mi raccomando: aprire la test… la mente degli studenti italiani è nelle sue mani, non sprechi la preziosa e facile occasione!
P.S. Se il Ministro non dovesse renderlo obbligatorio, allora compratelo voi stessi, che siate ragazzi, adulti o anziani: lo nascondete sul comodino sotto una grande Bibbia illustrata e la sera, alla luce fioca di una candela, ve ne gustate poco a poco ogni splendida pagina; state certo che quella notte farete bellissimi sogni di un placido mare che lambisce le coste di un’Italia laica e moderna.

Alessandro Vanoli, “Storia del Mare”, Editori Laterza, 2022 (€ 24, manco pizza e birra ormai).

Geografia sul campo: oltre la Terra dei Fuochi

Terra dei Fuochi è un toponimo col quale, per la prima volta in un report di Legambiente del 2003, viene indicato un territorio a cavallo tra le province di Napoli e di Caserta, in cui sin dagli anni ’80 la camorra locale, allora forza egemone di controllo territoriale, aveva sversato, interrato, affondato infinite tonnellate di rifiuti tossici e speciali, provenienti per la maggior parte da province del Nord Italia. Sullo stesso territorio, in aree agricole non lontane dagli assi viari più importanti, in tempi più recenti e fino ai giorni nostri, si è cominciato a bruciare scarti industriali provenienti da filiere produttive locali, riducendo una terra fertile e laboriosa a, appunto, una Terra dei fuochi. E’ qui che, da 40 anni e più, associazioni ambientaliste e antimafia, comitati civici, preti di frontiera, medici volontari cercano di strappare terra e terreno alla illegalità, al malaffare, al malgoverno, all’indifferenza istituzionale.

E’ qui che la prof.ssa Lucia Simonetti, coadiuvata dal dottorando e attivista di lungo corso Pasquale Pennacchio, ha deciso di concludere il suo corso di Politica ed Economia dell’Ambiente con gli studenti del Corso di laurea in Relazioni Internazionali e Analisi di Scenario della Università Federico II di Napoli, con un’escursione intitolata “Oltre la Terra dei Fuochi”.
L’intento è stato quello di uscire dalle pagine dei libri di testo e vedere con i propri occhi cosa è possibile conquistare e creare con il sapere, la dedizione, la passione per la bellezza e per la giustizia.
Nella sede dell’Ente Riserve Volturno Licola Falciano prima e camminando all’interno di tre aree protette del territorio poi, gli studenti hanno potuto incontrare molti protagonisti di questa lunga stagione di riscatto: Giovanni Sabatino, presidente dell’Ente Riserve; Rino Esposito, coordinatore regionale LIPU e direttore dell’Oasi delle Soglitelle; i carabinieri – forestali della Riserva Statale Castelvolturno; Alessandro Gatto, coordinatore regionale delle Guardie Giurate del WWF; Vincenzo Ammaliato, presidente dell’Associazione Domitia; Giovanni Papadimitra, presidente Comitato Kosmos. Tutt’intorno una natura di straordinaria suggestione, ritornata a ospitare centinaia di specie di uccelli migratori e stanziali. E anche questo è un percorso di pace e verso la pace.

Le mappe mentali per umanizzare le città

Il 12 dicembre, l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, nell’ambito delle attività del MoMi – Centro Studi Mobilità e Migrazioni internazionali, ha ospitato un interessantissimo e seguitissimo seminario di Nausicaa Pezzoni sull’uso delle mappe mentali da parte dei migranti in varie città d’Italia. In particolare la relatrice ha illustrato “La città sradicata. I migranti mappano Milano” e “I migranti mappano l’Europa”.
L’arch. Nausicaa Pezzoni è un’urbanista in servizio presso la Città Metropolitana di Milano ed è docente a contratto in Pianificazione urbana presso il Politecnico di Milano.
Le mappe mentali, di cui la relatrice è la massima esperta in Italia, possono essere uno strumento di ricerca applicata molto potente, molto utili quando si vuole trovare una prospettiva diversa ed allo stesso tempo autentica su contesti che viviamo, come dimostrano le 100 mappe contenute nel volume “La città sradicata. L’idea di città attraverso lo sguardo e il segno dell’altro“, di cui Nausicaa Pezzoni è fiera autrice.

Il lavoro di Nausicaa Pezzoni si inserisce in un filone di ricerca inaugurata dall’urbanista statunitense Kevin Lynch che, nel 1960, teorizzò le mappe mentali come strumento per indagare la forma percepita della città per far emergere i significati attribuiti dagli abitanti originari ai propri luoghi nel famoso “The image of the city“.
Ovviamente questi nuovi protagonisti sono diversi ed offrono un punto di vista altrettanto utile per poter umanizzare la città.

Parole chiave: mappe mentali, migranti, città
(Foto: Nausicaa Mazzoni al seminario UNIOR, foto A.C.).

La geografia vive, vegeta e transita!

Venerdì 6 dicembre, presso il DISEI dell’Università di Firenze, si è tenuta la XIV edizione Oltre la Globalizzazione, questa volta dedicata alle Transazioni/Transitions.

La giornata di studio, uno degli appuntamenti più importanti della geografia italiana, promossa dalla SGI, ha ospitato oltre 230 studiosi italiani e stranieri (280 gli iscritti), che hanno potuto confrontarsi in ben 32 sessioni, a testimoniare la vitalità di una scienza che riesce sempre più a farsi affidabile interprete di un mondo in rapido cambiamento. E questo grazie soprattutto all’entusiasmo dei tantissimi giovani studiosi, che hanno brillantemente esposto le loro ricerche sulle tante tipologie di transizione in atto, a livello locale che a livello globale. Un ottimo segno non solo per questa materia, ma per tutta la ricerca italiana.

Tra le tante novità annunciate vogliamo ricordare quello della successione alla guida del comitato editoriale della RGI -Rivista Geografia Italiana, da Bruno Vecchio a Filippo Celata (auguri a entrambi!),e la creazione di un gruppo di lavoro informale GEONATURAE (cfr. foto n.1). Che dire: ¡Que viva la geografia!

Il Festival delle Radici nei territori della marginalità

Festival delle Radici, Palazzo Imperiali D’Afflitto, Salza Irpina, 04/09/2024.

Per tornare (cominciare?) a essere compresa e apprezzata come scienza utile al vivere quotidiano, interpretando correttamente dati e dinamiche di un territorio e supportandone la successiva fase di pianificazione, è importante che la geografia si confronti in maniera costante e crescente con le comunità, rendendosi riconoscibile, spiegando ciò che è, ciò che fa e che potrebbe fare per loro. Per questo motivo ho accolto molto volentieri l’invito a presentare1 il XVI Rapporto della Società Geografica Italiana “Territori in transizione – Geografie delle aree marginali tra permanenze e cambiamenti” alla prima tappa del Festival delle Radici, nel piccolo Comune di Salza Irpina (AV), evento sponsorizzato da MAE e MIBAC e finanziato dal NextGenerationEU.
Con il Sindaco Luigi Cella, il Presidente di Glocal Think e ideatore del Festival Vincenzo Castaldo, Dario Natale del ComItEs Ginevra, e di Giuseppe Sommario, antropologo della Cattolica, si è ragionato di cause e soluzioni della marginalità dei piccoli comuni e su quanto il recupero della memoria collettiva possa fare per rafforzarne l’identità, anche in chiave di attrattività turistica; temi, questi, ampiamenti citati nel su citato Rapporto.


  1. Su delega del prof. Stefano de Falco , curatore del Rapporto con le proff. Stefania Cerutti e Teresa Graziano. ↩︎

Riflessioni geografiche n.14

Nel 2014 le Nazioni Unite hanno proclamato il 13 giugno “IAAD – International Albinism Awareness Day“, la giornata internazionale della consapevolezza dell’albinismo. Il 13 giugno a Wakiso, sobborgo di Kampala, Uganda, si tiene ogni anno una grande manifestazione per celebrare questa data, che richiama le persone con albinismo (in particolare donne e bambini) provenienti dall’immenso distretto. La Fondazione Cariello Corbino sostiene questo progetto da 5 anni. Avendo assistito direttamente alle ultime tre manifestazioni, riusciamo ora a comprendere la doppia valenza del termine “awareness – consapevolezza”, che è sia rivolta al “mondo nero” – per far capire che l’albinismo sia una malattia genetica e non opera del demonio – sia a loro stessi, persone che, nonostante questo handicap, devono sentirsi meritevoli della stessa dignità degli altri e capaci di raggiungere qualsiasi traguardo sia umano che professionale.
In molti paesi Africani le persone affette da albinismo, in particolare nei contesti più economicamente e culturalmente arretrati, sono soggetti a un fortissimo e crudele stigma sociale, che si aggiunge ai gravi problemi di salute causati dall’assenza di melanina a longitudini dove i raggi solari sono particolarmente impietosi.
E’ duopo ricordare che il tema delle discriminazioni, in ogni forma, è particolarmente sentito in geografia (cd. studi postcoloniali geografia per l’inclusione, geografia di genere, geografia e razzismo, queer geography,..).

Foto: la marcia di apertura del 10° IAAD a Wakiso (A. Corbino, 2024).
(Parole chiave: albinismo, Africa, diritti umani, discriminazione).


Identità territoriale & the city (Napoli).

Alcuni momenti dell’incontro A.Ge.I – Identità Territoriale a Napoli (AAVV).

Il 31 maggio e 1 giugno 2024 studiosi aderenti all’A.Ge.I. – gruppo Identità Territoriali, si sono trovati a Napoli per ragionare di Identità Urbana, partendo dal capoluogo partenopeo, stravolto in questi ultimissimi anni da un incremento esponenziale del turismo di massa.
All’indubbio successo dell’incontro, a cui hanno partecipato ricercatori e docenti delle Università di Bergamo, Bologna, Napoli – Federico II e Orientale, Palermo, Roma Tre e Udine, hanno contribuito 5 relatori, intervenuti in modalità informale e interattiva:

Stefano Fedele, giornalista e direttore di Open House Napoli, ha aperto i lavori con una mirabolante “lecture” presso il DISP- UNINA, sulla complessità della identità napoletana, viaggiando tra 2700 anni di storia, letteratura, arti figurative e visive;
Angelo ‘O Capitano Picone, istrionico presidente dell’Associazione degli artisti di strada Vico Pazzariello, ha alternato performance musicali e canore (accompagnato da Pina Perzechella Andelora) discutendo di turistificazione e resistenza culturale presso la sede associativa, nella parte ferita “ma non ancora a morte” del centro storico;
Alessandro Libraro, facilitatore dell’Associazione il Vagabondo – per un turismo responsabile nel Sud Italia, ha condotto fino ad un magico tramonto e oltre il gruppo attraverso la magia e le contraddizioni del Cavone;
Anna Fava, co-autrice dell’interessantissimo volume “Privati di Napoli“, ha discusso col gruppo di beni comuni e del controverso rapporto tra pubblico e privato in città;
Livio Cirillo ha illustrato l’innovativo progetto imprenditoriale di “ospitalità e cultura”, di cui è co-ideatore, ospitando il gruppo presso il magnifico “Magma Home“, che presenta, tra l’altro, elementi di forte coerenza in termini di responsabilità sociale e legami col tessuto economico locale.

Tante le suggestioni, tantissime le riflessioni del gruppo.
Ne riporto una, la mia, scaturita da un ragionamento tra geografia, identità territoriale e pace.
“Pensavo al rapporto identità territoriale – pace – Napoli. Forse, se
qualcosa abbiamo capito da queste intense ore di cammino e confronto, è che una Identità Territoriale così complessa, formatasi in millenni di “essere porto” e di dominazioni, in cui ancora oggi si erigono altari a “santi” stranieri (prima Gennaro, poi Diego), si fanno proprie e reinventano culture altrui (il babà polacco “rivisitato e sublimato” in una sorta di totem gastronomico; lo spritz e lo spritz Maradona; il Neapolitan blues di Pino Daniele, i ritmi meticci di Enzo Avitabile); una città in cui si accolgono e si dà lavoro (nonostante la crisi) a stranieri (Sri Lanka, ecc.), in cui si accetta (per necessità) di spostarsi un po’ più in là per fare spazio a uno straniero che però porta benessere (il turistame oggi, i soldati alleati nel secondo dopo guerra); una città che, in presenza di
un’amministrazione debole, si autogoverna da secoli nell’anarchia,
prendendosi gioco del potere (il Pazzariello in fondo è un clown con
una divisa addosso che scimmiotta il potere, con cappello napoleonico e
bastone, a prescindere da chi sia il governante di turno), un’Identità Territoriale siffatta, antica ma sempre contemporanea, porosa come il suo tufo, indaffarata nella sopravvivenza quotidiana, proprio per questo DNA necessariamente meticcio, non ha mai mosso guerra a nessuno.
E resta, pertanto, da sempre, un popolo di PACE!”.

Riflessioni Geografiche n.13

Matera come Ortigia, Napoli come Venezia. Il turismo di massa, complice le cosiddette Online Travel Agencies sta trasformando non solo il volto ma l’identità stessa dei centri storici su cui, con modalità più o meno improvvise e repentine, si abbatte questo inarrestabile tsunami. I benefici immediati per l’economia sono innegabili, ma sempre più le comunità locali ne sottolineano gli impatti negativi, primi tra tutti l’aumento del costo della vita e la scarsità degli alloggi a disposizione della popolazione residente, anima identitaria – appunto- di questi luoghi, oggi a rischio espulsione.
La geografia del turismo da molto tempo si è data il compito di analizzare e valutare le contraddizioni di questo settore economico, tra business globale e impatti locali, invocato come panacea dei tutti i mali e invece spesso causa stessa di profonde crisi sociali e ambientali.

Foto: la facciata di un palazzo nel centro storico di Ortigia (A. Corbino, 2024).
Parole chiave: turismo, gentrification, identità territoriale.