Riflessioni Geografiche n.22: il Giappone non è il mondo perfetto, ma…

Ogni geografo, in particolare quelli impegnati in campo accademico/didattico, avrebbero il dovere di viaggiare il più possibile, per conoscere, vedere la diversità con i propri occhi, elaborare un pensiero da comunicare in aula.
Quest’anno, complice uno yen debole – sono riuscito a colmare una mia grave lacuna: il primo viaggio in Estremo Oriente (dal Singapore di oltre 20 anni fa) alla scoperta – per quanto sia possibile farlo in una vacanza estiva – del Giappone.
“E’ stato un viaggio nel futuro”, il mio incipit del racconto agli amici: reti ferroviarie e metropolitane estesissime e super efficienti, pulizia e sicurezza da far invidia alla Svizzera, bagni pubblici onnipresenti e pulitissimi, agili vecchiette che si inchinano per ringraziarti di aver lasciato loro il posto sul bus. Il mondo perfetto, dove tutti vorremo vivere? No, ma solo perché la perfezione non è di questo mondo, non appartiene agli esseri umani e quindi neanche alle loro complesse comunità; e oltretutto è noiosa, e il Giappone è tutt’altro che noioso. Il Paese del Sol levante è un luogo magnifico e pieno di contraddizioni, con tanta gente e un alto tasso di solitudine e pressione sociale dalle note e tristi conseguenze, la meno grave delle quali è il boom dei Lovot (love + robot), i robottini di compagnia acquistati a caro prezzo da persone troppo impegnate per potersi prendere cura di un vero animale domestico (vedi foto).

Ma allora cosa è che può insegnare il Giappone al mondo, al mio Paese e al mio Sud? Me lo sono chiesto e continuo a chiedermelo. E nel farlo rifletto su una nazione che nel 1854, alla fine di oltre due secoli di isolamento pressoché totale, vede per la prima volta un modellino di treno e che, nel 1872, ha già costruito la prima linea ferroviaria (di 29 chilometri). Parliamo di un popolo che, ferito a morte dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale (tra cui le due bombe atomiche nell’agosto 1945), e sottoposto al controllo di una potenza esterna fino al 1951, diventa una superpotenza economica mondiale già agli inizi degli anni ’70. Quindi cosa abbiamo da imparare dal Giappone? Il Giappone… ci prova! Prova, con tutta la fierezza di un popolo, ad essere civile, rispettoso, innovativo, cordiale, costruttivo. E riesce a farlo senza controllare in maniera asfissiante i suoi cittadini (come avviene a Singapore) o senza mettere in piedi dubbie politiche di Social Credit System (come la Cina), lasciando invece che l’individuo aderisca a questo progetto sociale, libero nella sua espressione politica, economica, creativa. Quanto ai “problemi” di comunicazione interpersonale: sulla spiagge intorno a Osaka e Tokyo, come il alcuni luoghi “alternativi” abbiamo visto incoraggianti segni di vita spensierata e libera da schemi (e schermi). C’è speranza, quindi, che il Giappone trovi la cura alle sue ipocondrie. Al momento, ahimè, non nutro la stessa positività sul nostro (non pervenuto) progetto di civiltà.

(foto © aboutgeography.it : bagni pubblici a Tokyo; due ragazze vestono il kimono tradizionale in visita a un tempio a Kyoto, non rinunciando all’ultima versione del dolce “mochi”; l’ultima versione di Lovot; tempio di Sensoji e Tokyo sky tree).

Geografie per la pace: un volume di buon auspicio

Cerchiamo di andare in vacanza cercando di sgombrare la mente dai pensieri foschi, mentendo a noi stessi che, come per magia, mentre sbraniamo cocomeri sotto l’ombrellone, il mondo diventerà un posto migliore. Sappiamo tutti che non è così, e il presidente Sergio Mattarella ha voluto appena ricordarci di quanto tutto ciò sia insostenibile. Ma illuderci ci serve a sopportare, a sopravvivere e a tornare con una nuova carica e nuove speranze. Intanto, segnalo che le risposte alla lettera aperta indirizzata ai presidenti dei sodalizi geografici per un appello congiunto alla pace sono ferme ad UNA, quella -di cui si è già dato notizia – della professoressa Elena dell’Agnese (GRAZIE!). Ne prendiamo atto. Come, buona notizia prendiamo invece atto che è stato appena pubblicato il volume “GEOGRAFIE PER LA PACE” che raccoglie i contributi di tutti i gruppi di lavoro A.ge.I. su questo tema. Lo trovate a questo link. Come dire: la geografia italiana batte un colpo… al cerchio e uno alla botte. Meglio che nulla, immagino. Che la pace sia con voi!

Riflessioni Geografiche n.21: Elena Dell’Agnese risponde alla lettera aperta sulla pace in Palestina

In risposta alla lettera aperta (per la pace in Palestina) ai presidenti dei sei principali sodalizi geografici italiani, qui pubblicata il 18 luglio , abbiamo ricevuto – con grande piacere – una pronta risposta dalla professoressa Elena Dell’Agnese, ordinario di Geografia all’Università di Milano Bicocca e presidente dell’A.Ge.I. – Associazione dei Geografi Italiani. La professoressa Dell’Agnese ci ricorda che “l’AgeI si è impegnata fortemente sul tema della pace e di come la geografia possa, con i suoi strumenti teorici e analitici, contribuire al suo perseguimento”; inoltre “nel settembre del 2024, le Giornate della Geografia di Trento sono state dedicate a questo tema e i risultati del dibattito sono in corso di pubblicazione. Il libro Geografie per la pace uscirà a settembre, e raccoglie il contributo di AGeI su questo punto fondamentale ; infine “il vicepresidente di SGI, Massimiliano Tabusi, è uno dei coordinatori del dottorato in Peace Studies, oltre che membro attivo di RUniPace” (come altri docenti).

Per motivi di privacy non possiamo riportare in toto il contenuto della lettera, ma possiamo dirci molto lieti che ai vertici della nostra categoria professionale sussistano alcune spiccate sensibilità sul tema della pace, e su quanto sta avvenendo in Palestina in particolare. A tal proposito la professoressa Dell’Agnese ci ha suggerito “di leggere e poi di postare su aboutgeography questo articolo, in cui si dimostra, con strumenti geografici, come Gaza sia un genocidio”.
L’articolo, scritto nel 1983 dal prof Kenneth Hewitt della Wilfrid Laurier University (Canada), intitolato “Area Bombing and the Fate of Urban Places” consiste in un approfondito studio sugli effetti dei bombardamenti della II guerra mondiale in particolare sulle città del Giappone e della Germania . Oltre i dati riportati – dal cui paragone con quanto sta avvenendo a Gaza si giunge a tristemente ovvie conclusioni – è particolarmente interessante il paragrafo con cui si delineano le 14 “strategie dell’annientamento”, che possono applicarsi in pieno alla disumana situazione che si sta vivendo in Palestina.

Ringraziamo ancora la professoressa Elena dell’Agnese per quanto scritto. E restiamo in fiduciosa attesa della risposta degli altri destinatari.

Lettura consigliata:
Hewitt, K. (1983). Place Annihilation: Area Bombing and the Fate of Urban Places. Annals of the Association of American Geographers73(2), 257–284. https://doi.org/10.1111/j.1467-8306.1983.tb01412.x

Lettera aperta (per la pace in Palestina) ai Geografi italiani


Prof.ssa Ilaria Caraci, presidente onorario CISGE
Prof.ssa Elena dell’Agnese, presidente A.Ge.I.
Prof. Claudio Cerreti, presidente SGI
Prof. Egidio Dansero, presidente SSG
Prof. Riccardo Morri, Presidente AIIG
Prof. Giuseppe Scanu, presidente AIC

Scrivo questa lettera aperta nell’eco del riuscito convegno di Noto su Geografia e … Turismo, nel quale tanti giovani hanno dimostrato, con interessanti e appassionate presentazioni, quanto la materia e la ricerca siano in buone mani.
Proprio in quei giorni sono giunte le notizie degli attacchi missilistici di Israele all’Iran e della conseguente, analoga risposta. Il conflitto come era prevedibile, si è ulteriormente allargato, aprendo nuovi scenari geopolitici e nuove devastanti ferite.
Come ricercatore e volontario, ho sempre cercato di portare il mio modesto contributo alla causa della pace; ma, confesso, mai come in occasione dell’orrore di quanto sta accadendo in Palestina da ormai 18 mesi, mi sono sentito impotente e sconfitto, tradito come italiano da una nazione che non riesce a prendere una posizione (almeno) per il cessate il fuoco, nonostante la luminosa eccezione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
In momenti così pesanti, per non soccombere, viene spontaneo cercare supporto morale nelle comunità umane che si sente più affini.

Pertanto, da membro attivo della comunità dei geografi italiani, auspico che la geografia alzi la testa e recuperi la memoria, ricordandosi di essere una scienza di pace, di essere la scienza dei territori e quindi della comprensione e della costruzione di ponti tra le genti. E pertanto CHIEDO, da socio, che i presidenti dei sei principali sodalizi geografici italiani sottoscrivano un comune e accorato appello all’indirizzo del governo italiano, dichiarando, in maniera inequivocabile da che parte, in questo conflitto, stiano la scienza, la ragione, la geografia, ovvero l’unica possibile: quella della pace, senza se e senza ma.

Napoli, 18/06/2025
Con osservanza
Alberto Corbino, ricercatore, DISP-UNINA.

Nasce Fuoril(u)ogo, collana indipendente di geografia militante

Nelle ultime settimane ha preso forma un nuovo spazio di ricerca, confronto e sperimentazione: FuoriL(u)ogo , una collana geografica indipendente, pubblicata a cadenza irregolare da un gruppo di ricercatrici e ricercatori unite dal desiderio di esplorare modi alternativi e dissonanti di fare ricerca sul campo.
FuoriL(u)ogo raccoglie brevi resoconti di esperienze che ibridano approcci, metodi e linguaggi, dando vita a una geografia divergente, incorporata, ludica, creativa. Una geografia che non si chiede (più) cosa sia o non sia la disciplina, ma si interroga piuttosto su cosa possano fare le geografe e i geografi oggi, per la società, per i territori, per i conflitti urbani.
Fuoril(u)ogo non ha una redazione in senso stretto, ma un “cantiere aperto” di persone che se ne prendono cura, collaborando alla progettazione e alla realizzazione dei volumi. Fanno attualmente parte del cantiere, gli studiosi: Panos Bourlessas, Cecilia Pasini, Matteo Puttilli (UNIFI); Michelangelo Carraro, Valentina Mandalari, Marco Picone, Giacomo Spanu (UNIPA); Isabelle Dumont, Giulia Oddi, Daniele Pasqualetti (Roma Tre). È possibile presentare nuove proposte contattando l’indirizzo: collanafuoriluogo(at)gmail(dot)com.

Il primo volume della collana, Nel Pride, è online . Il volume nasce dalla partecipazione al Palermo Pride del 22 giugno 2024, un’edizione densa di significati in un clima politico e culturale difficile, a livello nazionale e locale. Nei giorni immediatamente successivi, durante un ritiro di scrittura a Castelluzzo (TP), è nata l’idea di restituire questa esperienza complessa e le riflessioni che ne sono scaturite in una forma ibrida, che intreccia testi e immagini, dando voce anche agli oggetti che hanno attraversato con noi quella giornata. Il risultato è un racconto polifonico, che inaugura il processo creativo di ricerca e di scrittura di FuoriL(u)ogo. Le attività di questo primo numero sono state realizzate all’interno del Progetto di Interesse Nazionale 2022 “The city, outdoors”.
Aboutgeography.it , che condivide in pieno l’approccio di una Geografia a servizio delle comunità e dei territori, formula i più sinceri auguri di miglior successo a FuoriL(u)ogo!

Il Festival di Politica Internazionale di UNIOR: Geografia protagonista.

Per tre giorni la Geografia, quelli con la G maiuscola, torna ad essere protagonista in un Festival dove la parola Geografia non compare nel titolo, uscendo così dalla mortifera autoreferenzialità di cui sono vittime tutte le discipline accademiche, comprese quelle che sarebbero per loro natura interdisciplinari. E’ la prima edizione del Festival di Politica Internazionale “NOI – Napoli Osservatorio Internazionale” che si è tenuto dal 14 al 16 maggio, organizzato dal DSUS – Dipartimento di Scienze Umane e Sociale, dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, presso Palazzo Giusso.
La geografia protagonista, si diceva, perché i temi trattati sono prettamente geografici (e non solo geopolitici come potrebbe sembrare): “L’Unione Europea tra integrazione e disintegrazione”; “Global South: i BRICS e le sfide della governance internazionale”; “Né Oriente né Occidente. Vivere in un mondo nuovo”; “Le migrazioni in regime di guerra: tra repressione e accesso ai diritti”, sono alcuni dei titoli dei 14 confronti/dialoghi aperti al pubblico che hanno visto impegnati diversi docenti UNIOR (tra cui i geografi Rosario Sommella e Fabio Amato) con esperti del mondo accademico, dell’informazione e della società civile. E’ l’Università scende dalla cattedra e si confronta e si apre alla comunità, non solo quella studentesca. E’ la geografia che alza la testa e si riprende lo spazio che le compete. Questi sono i Festival che servono all’Università, questa è l’Università che fa progredire l’Italia e il mondo, un esempio per quell’accademia sedotta da imbarazzanti “donatori” o impaurita dalla prepotenza di nuove e vecchie leadership liberticide.

Pepe Mujica: il sud che può insegnare al mondo

Nel nostro modo di concepire il mondo esistono degli assiomi quasi dogmatici, uno dei quali è: Nord = sviluppo, Sud = sottosviluppo. Non basterebbe l’enciclopedia Treccani a spiegare i motivi storici, politici, economici, culturali di questa percezione; reggimenti di geografi di tutto il mondo hanno inchiostrato tonnellate di carta per sostenere questa tesi oppure (più recentemente) smantellarla. E di certo le poche righe post non possono aggiungere niente di nuovo al dibattito tutt’ora in corso. Ma una cosa possono farla: ricordare un uomo del Sud, Josè Alberto (Pepe) Mujica Cordano, già guerrigliero Tupamaro, già presidente dell’Uruguay, e il suo messaggio rivoluzionario di apologia della sobrietà, di invito alla pienezza della vita e alla ricerca della felicità nelle piccole cose di tutti i giorni (compresi i grandi ideali). Un messaggio che, se metabolizzato nelle politiche economiche nazionali e globali, basterebbe da solo a sovvertire qualsiasi significato e percezione precedente di sviluppo e aprirebbe una nuova era di convivenza pacifica dei popoli e tra questi e il pianeta. Intanto, gracias de todo Pepe!

Riflessioni geografiche n.20: il viaggio come gesto politico

Viaggiare sarebbe cosa diversa da fare turismo, in particolare se quest’ultimo è quello di massa, che costringe enormi masse di persone negli stessi luoghi e negli stessi tempi, levando molto – se non tutto – al senso vero del viaggio, inteso come scoperta, incontro, confronto.
L’industria turistica è, sempre più, un motore dell’economia mondiale, che dai suoi inizi col Grand Tour del XVIII secolo, ha conosciuto solo piccole episodiche crisi episodiche (9/11, Covid) èd sempre cresciuto, includendo (o travolgendo?) sempre più territori e comunità, fino a coinvolgere oggi oltre 1,4 mld di turisti internazionali/anno (fonte: UNWTO).
La scelta della meta è, come sempre in economia, una scelta economica, e quindi può assumere un significato politico, nel senso di sostegno alla comunità ospitante (il primo passo di un turismo responsabile). E quindi è vero anche il contrario: decidere di non visitare un determinato territorio, nonostante la sua forte attrattività, può costituire una forma di boicottaggio economico.

Anche in questo caso le pressocché quotidiane incontinenze del Presidente Trump ci forniscono materia di riflessione: rispetto al 2024, il numero totale di visitatori globali è diminuito del 3,3% nel 2025, con un Marzo particolarmente negativo (un calo dell’11,6% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso). Il traffico del mese scorso ha subito un crollo da quasi tutte le regioni del mondo, con i risultati peggiori dall’Europa occidentale (-17,2%), dai Caraibi (-26%), dall’America centrale (-26%) e dall’Africa (12,4%) (fonte: EuroNews, su dati US International Trade Administration).
Fun fact: la nazione che ha avuto il maggior incremento di turisti è la Slovenia, Paese di origine della attuale first lady Melania. Sarà forse il caso di scrivere un articolo sul turismo familiare?

Un piccolo libro per comprendere la Geografia.

La maggior parte degli studenti italiani arriva agli studi universitari con gravissime lacune in Geografia. E questo nonostante non sia mai esistia generazione più dotata di strumenti geografici, avendo tutto il mondo in un palmo di mano (“mandare la posizione su what’s app”, “seguire le indicazioni di di google maps” vi dice qualcosa?). Colpa di una rifroma scolastica che ha cancellato questa disciplina dai programmi delle scuole secondarie e colpa anche un po’ dei ragazzi, rei di avere spento quella curiosità verso il mondo e di utilizzare internet nella maniera meno corretta.
Per questo motivo ho voluto chiedere a tre giovani studiosi di scrivere con me “Orientarsi nella Geografia. Uno zaino di sopravvivenza”, un supporto didattico pensato per gli studenti di Geografia Sociale e Culturale dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, ma che è l’ideale per chi, universitario o no, vuole riappacificarsi con questa materia in poche, chiarissime pagine. E a un “politico”!

Il volume, oltre a una preziosa prefazione di Silvia Siniscalchi, ordinario di Geografia all’Università degli Studi di Salerno e presidente della sezione Campania della Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (AIIC), si compone di 4 Capitoli, scritti da altrettanti autori, con un linguaggio molto accessibile: 1) il primo su cosa sia, compreso il suo rapporto con la cartografia, e a cosa serva la Geografia; 2) il secondo riporta e commenta alcuni tra i dati più basilari della Geografia e dove trovarli sul www; 3 e 4) gli ultimi due cercano spiegare il perché sia importante “sapere di geografia” con esempi su fenomeni globali (le migrazioni, in particolare originate da conflitti e global warming) e locali (in particolari in principali conflitti territoriali al momento presenti in Campania).

Orientarsi nella Geografia. Uno zaino di sopravvivenza.
A cura di Alberto Corbino. Autori: Andrea Cerasuolo, Alberto Corbino, Martina Iacometta, Pasquale Pennacchio. Prefazione di Silvia Siniscalchi.
Collana Geografia Maestra; L’Orientale Editrice, Napoli, 2025; pp. 142; € 9,50

Riflessioni geografiche n. 19: Gaza ha solo un valore immobiliare?

Nelle Riflessioni Geografiche n. 16 avevamo ringraziato il presidente Trump per tutti gli spunti che stava dando alla Geografia. Ecco, anche meno, grazie Donald: come per gli autori di satira politica, il POTUS rischia di farci fare gli straordinari. Tre giorni fa, accogliendo il primo ministro di Israele, egli ha definito Gaza come “un incredibile pezzo di importante proprietà immobiliare”. Beh, a guardarla con gli occhi foderati di profitto, è di certo così: demolizione definitiva dei ruderi e di quanto resta in piedi, rimozione delle macerie, progettazione, ricostruzione, lottizzazione e vendita della nuova Cancun del Medio Oriente – wow, che acqua calda guys, anche in pieno inverno)… un grande businéss!!! Il PIL degli Stati Uniti e di Israele farebbero un bel passetto all’insù (e per una volta, non grazie alla armi!), e forse anche quello della Palestina (se esistesse).

(Photo: NYT, 2025)
Ma ecco che, in mezzo a questa follia, ci viene in aiuto la Geografia che ci riporta sulla Terra del buon senso e ci riordina le idee. Un territorio abitato da millenni rappresenta solo un valore immobiliare, o è anche qualcos’altro? Forse quella è la Terra degli antenati (come per i Sioux – oh cacchio, esempio sbagliato!), ha un valore storico, relazionale, culturale, religioso, comunitario, spirituale, geopolitico per milioni di persone; e forse anche il valore simbolico della resistenza all’oppressione, per miliardi di persone, tutti quelli che, ad ogni angolo del mondo, di qualsiasi Paese o religione essi siano, vedono riflessa in Gaza tutta l’ingiustizia sociale del passato e del presente e tutta la speranza del futuro. Un futuro che, di certo, non può e non deve passare per un cartello “for sale” in una agenzia immobiliare di Manhattan!