Festival delle Radici, Palazzo Imperiali D’Afflitto, Salza Irpina, 04/09/2024.
Per tornare (cominciare?) a essere compresa e apprezzata come scienza utile al vivere quotidiano, interpretando correttamente dati e dinamiche di un territorio e supportandone la successiva fase di pianificazione, è importante che la geografia si confronti in maniera costante e crescente con le comunità, rendendosi riconoscibile, spiegando ciò che è, ciò che fa e che potrebbe fare per loro. Per questo motivo ho accolto molto volentieri l’invito a presentare1 il XVI Rapporto della Società Geografica Italiana “Territori in transizione – Geografie delle aree marginali tra permanenze e cambiamenti” alla prima tappa del Festival delle Radici, nel piccolo Comune di Salza Irpina (AV), evento sponsorizzato da MAE e MIBAC e finanziato dal NextGenerationEU. Con il Sindaco Luigi Cella, il Presidente di Glocal Think e ideatore del Festival Vincenzo Castaldo, Dario Natale del ComItEs Ginevra, e di Giuseppe Sommario, antropologo della Cattolica, si è ragionato di cause e soluzioni della marginalità dei piccoli comuni e su quanto il recupero della memoria collettiva possa fare per rafforzarne l’identità, anche in chiave di attrattività turistica; temi, questi, ampiamenti citati nel su citato Rapporto.
Su delega del prof. Stefano de Falco , curatore del Rapporto con le proff. Stefania Cerutti e Teresa Graziano. ↩︎
Nel 2014 le Nazioni Unite hanno proclamato il 13 giugno “IAAD – International Albinism Awareness Day“, la giornata internazionale della consapevolezza dell’albinismo. Il 13 giugno a Wakiso, sobborgo di Kampala, Uganda, si tiene ogni anno una grande manifestazione per celebrare questa data, che richiama le persone con albinismo (in particolare donne e bambini) provenienti dall’immenso distretto. La Fondazione Cariello Corbino sostiene questo progetto da 5 anni. Avendo assistito direttamente alle ultime tre manifestazioni, riusciamo ora a comprendere la doppia valenza del termine “awareness – consapevolezza”, che è sia rivolta al “mondo nero” – per far capire che l’albinismo sia una malattia genetica e non opera del demonio – sia a loro stessi, persone che, nonostante questo handicap, devono sentirsi meritevoli della stessa dignità degli altri e capaci di raggiungere qualsiasi traguardo sia umano che professionale. In molti paesi Africani le persone affette da albinismo, in particolare nei contesti più economicamente e culturalmente arretrati, sono soggetti a un fortissimo e crudele stigma sociale, che si aggiunge ai gravi problemi di salute causati dall’assenza di melanina a longitudini dove i raggi solari sono particolarmente impietosi. E’ duopo ricordare che il tema delle discriminazioni, in ogni forma, è particolarmente sentito in geografia (cd. studi postcoloniali geografia per l’inclusione, geografia di genere, geografia e razzismo, queer geography,..).
Foto: la marcia di apertura del 10° IAAD a Wakiso (A. Corbino, 2024). (Parole chiave: albinismo, Africa, diritti umani, discriminazione).
Alcuni momenti dell’incontro A.Ge.I – Identità Territoriale a Napoli (AAVV).
Il 31 maggio e 1 giugno 2024 studiosi aderenti all’A.Ge.I. – gruppo Identità Territoriali, si sono trovati a Napoli per ragionare di Identità Urbana, partendo dal capoluogo partenopeo, stravolto in questi ultimissimi anni da un incremento esponenziale del turismo di massa. All’indubbio successo dell’incontro, a cui hanno partecipato ricercatori e docenti delle Università di Bergamo, Bologna, Napoli – Federico II e Orientale, Palermo, Roma Tre e Udine, hanno contribuito 5 relatori, intervenuti in modalità informale e interattiva:
Stefano Fedele, giornalista e direttore di Open House Napoli, ha aperto i lavori con una mirabolante “lecture” presso il DISP- UNINA, sulla complessità della identità napoletana, viaggiando tra 2700 anni di storia, letteratura, arti figurative e visive; Angelo ‘O Capitano Picone, istrionico presidente dell’Associazione degli artisti di strada Vico Pazzariello, ha alternato performance musicali e canore (accompagnato da Pina Perzechella Andelora) discutendo di turistificazione e resistenza culturale presso la sede associativa, nella parte ferita “ma non ancora a morte” del centro storico; Alessandro Libraro, facilitatore dell’Associazione il Vagabondo – per un turismo responsabile nel Sud Italia, ha condotto fino ad un magico tramonto e oltre il gruppo attraverso la magia e le contraddizioni del Cavone; Anna Fava, co-autrice dell’interessantissimo volume “Privati di Napoli“, ha discusso col gruppo di beni comuni e del controverso rapporto tra pubblico e privato in città; Livio Cirillo ha illustrato l’innovativo progetto imprenditoriale di “ospitalità e cultura”, di cui è co-ideatore, ospitando il gruppo presso il magnifico “Magma Home“, che presenta, tra l’altro, elementi di forte coerenza in termini di responsabilità sociale e legami col tessuto economico locale.
Tante le suggestioni, tantissime le riflessioni del gruppo. Ne riporto una, la mia, scaturita da un ragionamento tra geografia, identità territoriale e pace. “Pensavo al rapporto identità territoriale – pace – Napoli. Forse, se qualcosa abbiamo capito da queste intense ore di cammino e confronto, è che una Identità Territoriale così complessa, formatasi in millenni di “essere porto” e di dominazioni, in cui ancora oggi si erigono altari a “santi” stranieri (prima Gennaro, poi Diego), si fanno proprie e reinventano culture altrui (il babà polacco “rivisitato e sublimato” in una sorta di totem gastronomico; lo spritz e lo spritz Maradona; il Neapolitan blues di Pino Daniele, i ritmi meticci di Enzo Avitabile); una città in cui si accolgono e si dà lavoro (nonostante la crisi) a stranieri (Sri Lanka, ecc.), in cui si accetta (per necessità) di spostarsi un po’ più in là per fare spazio a uno straniero che però porta benessere (il turistame oggi, i soldati alleati nel secondo dopo guerra); una città che, in presenza di un’amministrazione debole, si autogoverna da secoli nell’anarchia, prendendosi gioco del potere (il Pazzariello in fondo è un clown con una divisa addosso che scimmiotta il potere, con cappello napoleonico e bastone, a prescindere da chi sia il governante di turno), un’Identità Territoriale siffatta, antica ma sempre contemporanea, porosa come il suo tufo, indaffarata nella sopravvivenza quotidiana, proprio per questo DNA necessariamente meticcio, non ha mai mosso guerra a nessuno. E resta, pertanto, da sempre, un popolo di PACE!”.
Matera come Ortigia, Napoli come Venezia. Il turismo di massa, complice le cosiddette Online Travel Agencies sta trasformando non solo il volto ma l’identità stessa dei centri storici su cui, con modalità più o meno improvvise e repentine, si abbatte questo inarrestabile tsunami. I benefici immediati per l’economia sono innegabili, ma sempre più le comunità locali ne sottolineano gli impatti negativi, primi tra tutti l’aumento del costo della vita e la scarsità degli alloggi a disposizione della popolazione residente, anima identitaria – appunto- di questi luoghi, oggi a rischio espulsione. La geografia del turismo da molto tempo si è data il compito di analizzare e valutare le contraddizioni di questo settore economico, tra business globale e impatti locali, invocato come panacea dei tutti i mali e invece spesso causa stessa di profonde crisi sociali e ambientali.
Foto: la facciata di un palazzo nel centro storico di Ortigia (A. Corbino, 2024). Parole chiave: turismo, gentrification, identità territoriale.
Come per il Vietnam. In questi giorni terribili, guardando ciò che accade in numerosi campus universitari degli Stat Uniti, sembra di essere tornati agli anni Sessanta del novecento, con la protesta per la guerra del Vietnam, iniziata alla prestigiosa Columbia University nel 1964 e culminata con lo “sciopero degli studenti” del 1970 contro l’espansione in Cambogia di detta guerra, cui aderirono quasi 900 campus. Oggi, oltre 40 campus USA (tra cui alcuni dei più prestigiosi) hanno visto una coraggiosa parte di studenti, affiancati da parte del corpo docente, protestare in maniera pacifica, ma molto determinata, contro il sostegno economico dell’amministrazione Biden al governo sionista di Israele, chiedendo di disinvestire, cioè cancellare i loro investimenti e i loro accordi in quel Paese. La risposta, come accadde 60 anni fa: gli studenti – e molti docenti – sono stati duramente confrontati e arrestati a centinaia dalla polizia, chiamata a intervenire dalle autorità universitarie e cittadine; chiamata, c’è chi dice, a difendere il capitale con la c maiuscola che, in queste Università, pensa di essere il solo principio ordinatore. Ciò che mi pare ci sia di nuovo è che il corpo studentesco sembrano oggi più diviso di allora, quando a fare le guerra e a morire in guerra c’erano, oltre i vietnamiti, proprio i nipotini dello zio Sam.
Infatti, a guardare le immagini e video pubblicati sui social media, oggi la questione palestinese spacca la coscienza americana in due (forse tre considerando che in tanti si sono astenuti, preoccupati – e a ragione – di dover ripagare il loro enorme “debito scolastico”) e sembra riflettere alla perfezione la divisione all’interno della società USA in generale. Da una parte i sit-in e gli accampamenti pacifici di un gruppo multietnico, tra cui numerosi sono gli studenti che si dichiarano di religione ebraica, sui quali gli avvenimenti in Palestina sembrano amplificare i tormenti di una ingiustizia sociale vissuta – e non da oggi – sulla propria pelle. Da un altro lato un gruppo più eterogeneo, in stragrande maggioranza maschio e bianco, che agita bandiere a stelle e strisce e le “sacrosante ragioni suprematistiche”, sognando forse una nuova Palestina – Cancun. (Per fortuna portano il cappellino da baseball e non il cappuccione bianco, o è solo un sintomo di impunità?). Osservazione geografica: la tecnologia, ha ridotto ancor più le distanze tra comunità umane così distanti sulla carta, unendole empaticamente; mentre non cambia il ruolo dell’ignoranza e dell’avidità, che tengono così distanti comunità umane che condividono gli stessi spazi vitali. Pare proprio che gli Stati Uniti continueranno a fornire alla geografia sociale, che proprio negli anni del Vietnam prendeva forza, interessanti spunti di riflessione e doloroso materiale di ricerca.
Parole chiave: Palestina, Stati Uniti, guerra, proteste, studenti, università Foto: “Flyer protesting the draft written by Paul Milgrom, a student at the University of Michigan,” Resistance and Revolution: The Anti-Vietnam War Movement at the University of Michigan, 1965-1972, accessed May 3, 2024, https://michiganintheworld.history.lsa.umich.edu/antivietnamwar/items/show/43.
Già nel febbraio scorso il presidente della regione catalana ha proclamato lo stato d’emergenza a Barcellona e in 202 comuni a causa della forte siccità: acqua razionata a 200 litri al giorno a cittadini e attività commerciali. Febbraio, una volta mese invernale, sinonimo di basse temperature e precipitazioni abbondanti. Il 19 marzo in Sicilia è stato dichiarato lo stato di emergenza idrica in sei province fino al prossimo 31 dicembre. Marocco, Tunisia, Malta, Algeria le altre nazioni del bacino del Mediterraneo che stanno soffrendo a causa di piogge scarse e temperature più alte delle media (vedi immagine ).
Il Sindaco di Palermo ha emanato un’ordinanza per correre ai ripari e salvare le ultime gocce: dalle cinque del mattino alle undici di sera è vietato innaffiare le piante di balconi e di giardini, nonché lavare spazi comuni, o riempire piscine prive di un sistema di riciclo dell’acqua. La solita “politica del rattoppo”, per citare un libro del geografo Ugo Leone, docente di Politica dell’Ambiente all’Università Federico II di Napoli, pubblicato nel 1990, ben 32 anni fa, 3 decenni persi ai danni della stabilità di un territorio già “naturalmente fragile”, della sicurezza e del benessere delle comunità. A quando una vera, consistente, coordinata politica conservativa per prevenire e non più rattoppare a livello nazionale, europeo, mondiale? A quale emergenza occorrerebbe, nell’Italia di oggi, dare priorità nella spesa pubblica? (Immagine, Fonte: EU-JRC) (Parole chiave: siccità, riscaldamento globale, politiche pubbliche, Sicilia).
La geografia emozionale è definibile come un “approccio di studio geografico che analizza territori e paesaggi non sulla base degli elementi fisici o sociali oggettivi, ma fondandosi sulla percezione, soggettiva ed emotiva, che di essi hanno gli individui e le collettività che ne fruiscono stabilmente (residenti) o temporaneamente (viaggiatori)” (Treccani.it). Napoli, con il suo golfo, i suoi vicoli e la sua secolare identità meticcia è stata e continua a essere di certo un luogo di geografia emozionale per i tanti autori di street art, ormai diventata un tratto distintivo della città: ultimo in ordine di apparizione, le Alici Urbane. Di seguito, nelle parole dell’autore, il progetto.
“Non percepisco Napoli come una “Città sul Mare”, immagine di un agglomerato urbano soggetto ad un mero criterio di fortunata giustapposizione geografica. Leggo Napoli come un territorio intriso di Mare fin nelle sue viscere, caverne, anfratti. Il Mare invade la Città ogni giorno, tenta di far propri lembi di terra e brandelli di tessuto cittadino. E’ il Mare ad amare voluttuosamente Napoli, a tracciarla col sale a ogni andirivieni di risacca, incessabilmente, senza alcuna possibilità di redenzione. Ieri, undiciaprileduemilaventiquattro, le Alici hanno invaso la Città saltando la recinzione cementizia dei blocchi. Pesciolini di ogni genere si insinuano tra i palazzi, appaiono tra una faccenda e l’altra, tra la “palestra del piccolo” e la “spesa per la cena”. Disturbano le fugaci alcove urbane degli amanti, fanno sorridere i bambini, detentori privilegiati della gioia pura. Le Alici non hanno voce, ma “parlano” a tutti attraverso un brano musicale, nascosto in un QR Code tatuato addosso. Ogni “Alice” è attaccata al muro attraverso un leggerissimo velo di adesivo per carta, e chiunque può aiutarla a spostarsi, a migrare libera per la città. A patto di scattare una foto e registrare la sua nuova posizione: aggiornerò costantemente una Mappa delle Alici Urbane così che tutti potremo sempre sapere fin dove sono arrivate. Sperando che nessuno se ne appropri: diventerebbero istantaneamente dei pezzetti di carta spiegazzati senza storia e senza alcun valore. E soprattutto sarebbe interrotta la loro migrazione, la loro parabola di libertà“.
Uno sciame di minacciose comete fende il cielo rabbuiato del Medio Oriente. Ora non manca davvero più niente: dopo le stragi degli innocenti e i regali in armi e veti degli Stati magi, vecchio e antico testamento si fondono a rinnovare un presepio la cui tragicità rischia ora di assumere dimensioni bibliche, estendendosi ben oltre il confine israelo-palestinese degli ultimi, terrificanti mesi di assedio, la cui disumanità sta spaccando in due le coscienze politiche e civili di tutto il mondo. In questi casi, come fu per la guerra in Ucraina, ormai due anni fa, la geopolitica viene rianimata sui quotidiani e nei talk show, sebbene con consueto, tardivo affanno. A chi conosce questa materia torna in mente un libro del geografo francese Yves Lacoste (1976) “La Geografia serve prima di tutto a fare la guerra”. Va detto che, come di recente sottolineato da Angelo Turco e Marco Maggioli (1), “la riflessione su questo tema non sembra essere stata particolarmente fertile nella nostra disciplina, e segnatamente nella geografia italiana”. Ma forse le cose stando cambiando: è giunta l’ora che la geografia di tutto il mondo cambi il titolo di Lacoste, sostituendo la parola guerra con pace. Memori delle parole “la Geografia è anche uno strumento fondamentale per fare la Pace” del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel 2017 al convegno per i 150 anni della Società Geografica Italiana, i geografi italiani battono finalmente un colpo, in primis con la notizia che le prossime “Giornate della geografia” A.Ge.I. (Trento, 12 e 13 settembre pv) saranno dedicate alla Geografia per la pace. Una scelta più che mai opportuna e di assoluto buon senso, perché, ne siamo convinti, la geografia è conoscenza dell’alterità ed estimatrice della diversità e, in quanto tale, strumento primario di comprensione e di pace.
السلام عليكم – che la pace sia con te – שהשלום יהיה איתך
Il gran caldo improvviso di questi ultimi giorni e l’instabilità metereologica hanno messo in allarme agricoltori e decisori pubblici sulla questione idrica. Grazie alle carte interattive dell’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) è possibile avere un quadro sinottico delle reti idriche in Italia. Il dato su base provinciale (2019) restituisce un quadro d’insieme preoccupante tra il mancato invio di dati e buona parte della penisola colorata di “insufficiente” e “scarsa”, in particolare nel Meridione e nelle isole maggiori. Le reti idriche italiane, in estrema sintesi, perdono troppa acqua, un lusso che non è più possibile permettersi in tempi in cui la siccità desta già preoccupazione ben prima dei mesi estivi. La geografia si è da sempre interessata a questo tema, analizzandone l’evoluzione concettuale da elemento del paesaggio, a strumento di geopolitica a bene comune, come evidenziato da numerosissimi contributi scientifici tra cui l'”Atlante geopolitico dell’acqua“. (Fonte infografica: ARERA) Parole chiave: reti idriche, siccità, Italia.
Nel 2017, il Comitato geografico nazionale francese (CNFG) ha avviato la prima «Nuit de la Géographie (GeoNight)», che ha avuto luogo a Parigi e in una dozzina di altre città francesi. Nel 2018 e con il sostegno di EUGEO (Associazione dei sodalizi geografici in Europa), gli eventi hanno raggiunto una scala europea. Nel 2019, con IGU (Unione Geografica Internazionale), più paesi nel mondo hanno organizzato eventi GeoNight.
Uno degli eventi italiani di GeoNight 2024 si terrà a Napoli, presso l’Istituto Sauro Errico Pascoli, a cura di Geografi delle Università Federico II e dell’Orientale e tratterà di cibo, ovviamente da un punto di vista geografico: la provenienza, i lunghi viaggi da dove viene prodotto alle tavole, il problema dello spreco alimentare e dei metodi di produzione ecc.